Si
prospettava essere un disastro.
Non
fraintendetemi, era iniziata nel migliore dei modi, almeno in
apparenza. Ero stato a casa dei Promessi
Sposi il giorno prima e sembravano
passarsela bene. Tutti pucci pucci, gne gne, per fortuna niente
decorazioni altrimenti un diabete acuto allo stadio terminale non me
l’avrebbe levato nessuno, e sono troppo giovane e sexy per morire.
Joey
continuava a dirmi di quanto fosse in ansia per la serata di San
Valentino al locale, perché quest’anno l’aveva organizzata lui e
solo Dio sa quanto Joey possa essere petulante e perfezionista quando
si tratta delle sue cose e della sua arte. Che, tra parentesi, alla
fine esce sempre tutto bene. Apre bocca e puff,
scintillii e orgasmi come se fosse la fine del mondo. Che non
chiedetemi cosa c’entri, non lo so, tanto si parla di Joey.
Dante…
Beh, Dante lo guardava come al solito, con la sua aria placida e
strafottente e i cuoricini negli occhi, un’unione perfetta e
stramba allo stesso tempo, per come la vedo io. Ogni tanto mi concedo
di pensare che sia dolce, poi spara qualche frecciata e crolla tutta
l’aura rosa che mi dà speranza nell’umanità . E non lo dico
perché loro erano la coppia perfetta e io ero ancora il Grinch di
San Valentino, single che neanche a pregare tutti gli dei dell’Olimpo
avrei ricevuto il miracolo di non sentirmi inadeguato solo perché il
mio ex voleva tanto tanto tanto che
io assistessi alla sua serata magica al Palo per coppie felici.
Ogni
tanto mi chiedo se io sia troppo buono. Poi ripiego nel masochismo.
Magari frequento i locali sbagliati e dovrei iniziare a vestirmi con
abiti di pelle tutti attillati e collarini.
Okay,
okay, non divago.
Il
punto è che persino Dante – persino
D.A.N.T.E. – mi era parso vagamente
adorabile quella sera, aveva cucinato un pollo e patate fenomenale e
aveva anche riso a una mia stupidissima battuta sui pesci e le sedie.
Era tutto perfetto.
E
poi non lo so che è successo. L’Apocalisse, la luna piena, i Maya.
Sta di fatto che il giorno dopo erano tutti fuori di testa, Joey
inveiva contro la stupida idea di aver accettato un coinquilino che
gli aveva causato due traumi cranici in un mese e Dante che non
voleva saperne di parlare. Non che parlasse con me, ovviamente, vi
riferisco quel che aveva detto Joey.
In
quanto a me, io me ne stavo davanti al mio cappuccino con panna e
nutella ad ascoltare la storia sconclusionata di Joey riguardo a
quella mattina, mezzo assonnato e non propriamente nelle condizioni
di riflettere e sopportare la sua diva interiore.
«E
poi ha detto che ero fissato e che dovevo smetterla di dire cose
insensate, che sono uno struzzo!»
«Uno
struzzo?» Neanche Dante mi pareva il tipo da uscirsene con certe
cose. Era fantasioso negli insulti, dovevo concederglielo, ma
fantasioso di serie A, lo struzzo apparteneva almeno alla serie C.
«Forse
ha detto più qualcosa come “non fare quella voce da stronzo
e calmati,” ma comunque…» Joey emise un urletto e si accasciò
sul tavolino. Vidi la cameriera sobbalzare e guardarlo, così mi
sbrigai a farle un cenno e sorriderle. Non si preoccupi, tutto
regolare, è fuori di testa di suo.
«Okay,
cerchiamo di calmarci un attimo.»
«Anche
tu?»
Gesù.
Devo ponderare ogni parola? Siamo già a quello stadio?
«Senti, Joey, capisco che tu sia agitato per stasera, ma devi
pensare lucidamente. È un fraintendimento su uno stupido microonde.»
«No,
Alex, è lui che non fa caso alle mie cose e mi rovina la serata!»
Sospirai.
«Non puoi aspettarti che stia attento alla tua super colazione
scaramantica pre-San-Valentino se è il vostro primo San Valentino
insieme. Cosa ne poteva sapere?»
«Ma…»
Non c’era nulla da ribattere perché avevo ragione, quindi Joey
optò per il silenzio e un altro sorso di tè. Io sospirai e scossi
il capo.
Era
una bella giornata, almeno per il momento. Il freddo ci aveva dato
tregua e qualche raggio di sole arrivava fino all’Arno, che
potevamo intravedere dalla vetrina del piccolo bar in via de’ Bardi
in cui ci eravamo incontrati.
«Tanto
non ha senso in ogni caso, non verrà .» La voce di Joey era
sconfitta e triste, i suoi occhi nocciola luccicavano d’oro a causa
del velo umido in essi. Era così tenero, a volte.
«Ora,
non dire così…» Mi allungai per prendergli una mano, riposata sul
tavolino. «Dante non è stupido, non si perderà un’esibizione del
suo cantante sexy preferito per una discussione sul microonde.»
«No,
è…» Joey sospirò e ficcò di nuovo il capo tra le braccia, ma
non lasciò andare la mia mano. «Lavora, non può venire.»
«Ah.»
Dante
si era trovato un lavoro appena tornato a Firenze. Un lavoretto
tranquillo in un locale dall’altra parte della città , un piano bar
in cui faceva il cameriere e, a volte, suonava. Sembrava piacergli:
ogni tanto Joey era riuscito a trascinarmici per andare a trovarlo –
e sentirlo – e, cavolo, dovevo ammettere che era bravo. Bravo
davvero. Lui e Joey erano un’accoppiata perfetta, nonostante mi
seccasse dirlo. Li accomunava la stessa passione travolgente per la
musica, ed entrambi erano capaci di trasmetterla a chiunque li
sentisse.
«Avanti,
dillo.» Joey mi guardava attraverso il ciuffo di capelli biondi e le
braccia appoggiate al tavolino. Io gli feci un sorriso dolce.
«Cosa
vuoi sentirti dire?»
«Non
è una cosa che voglio sentirmi dire, è una cosa che mi dirai.»
Io
ridacchiai. A volte era davvero troppo tenero, mi ricordava il perché
fossi subito caduto vittima del suo fascino tempo prima. «Pensi che
voglia tanto bene al tuo ragazzo da sentire il bisogno di difenderlo
e dirti che, forse, è importante per lui – e per voi –
guadagnarsi quei sessanta euro stasera? Nah, Joey, non sono proprio
il tipo.»
«Stronzo.»
«Per
aver detto la verità ?»
«Volevo
che sentisse la canzone che gli avrei dedicato.» Joey tirò su le
spalle e divenne più piccolo di quanto sembrava.
«Lo
so, ma potrai cantargliela a casa.» Cercai di mantenere la voce più
dolce che potevo. «Dai, non abbatterti, Gioia.»
Lui
non rispose, ma la sua mano strinse impercettibilmente la mia e,
improvvisamente, renderlo felice divenne il mio obiettivo. Un po’
come il Grinch, beh, almeno quello di fine film. Insomma, avrei fatto
il folletto scontroso che, per una volta, avrebbe reso San Valentino
un giorno speciale.
***
Quindi
la prima tappa fu trovare Dante.
Ora,
se li conoscete un po’ sapete quanto sia difficile una cosa del
genere. Insomma, Dante Lupo, lo sfuggente, che riesce a perdersi a
Firenze anche se ci vive da più di un anno.
E
che non è mai in casa. Mai.
Io
non avevo di certo mai sentito il bisogno di avere il suo numero,
ovviamente – perché avrei dovuto? Scherzi telefonici? Non avevo
tempo per cazzate del genere – e Boris non ce l’aveva perché…
beh, perché era Boris. Insomma, faticai un po’ a cercarlo. Ma
sapete come vanno queste cose, no? Quando non lo cerchi più…
Avevo
meno di dieci ore per recuperare un uomo di cui non sapevo
praticamente nulla. Non avevo nemmeno idea di che orario facesse a
lavoro, però una pausa pranzo la facevano tutti, no? Ed era ora di
pranzo.
Mi
aggirai prima di tutto nel loro quartiere, nei parchi, mi feci il
Lungarno e cercai nei dintorni del Palo – non si sa mai, confidavo
ancora nel buonsenso… okay, nell’affetto che provava per Joey –
ma nulla.
Però
mi venne l’illuminazione proprio lì, perché ero un genio.
C’erano
alcuni ragazzi della band che stavano caricando gli strumenti nel
locale. Un paio di loro – di cui non ricordavo il nome, col cavolo
che sono bravo in queste cose – mi salutò, così mi avvicinai per
indagare sul mistero della sparizione del Lupo. Tanto Joey non si
vedeva, e dubitavo che avrebbe deciso di farsi vivo prima delle sei.
«Il
numero di Dan? Ce l’ho io. A che ti serve?»
Dio,
avrei potuto baciarlo lì, davanti a tutti, a costo di beccarmi un
pugno. Mi serviva il numero, però, così stetti fermo.
Il
mio salvatore era un ragazzo con cui avevo parlato sì e no due volte
al tempo in cui stavo con Joey, ma che ricordavo essere un musicista.
Forse suonava il basso o le tastiere. Anche carino, ma decisamente
etero.
Lo
presi in disparte e spiegai il mio piano malefico per la riconquista
della DanxJoey.
Come un eroe delle serie tv, esatto.
«Forse
dovresti lasciare stare… Alessandro, giusto?»
«Sì.»
Lui aveva una memoria migliore della mia.
«Eh,
se non ricordo male Dan non ha un’opinione… uhm… propriamente
elevata di
te.»
Stronzo
testa di cazzo. Risi. «Ma no! Andiamo d’accordo, gli voglio un
gran bene!»
L’altro non sembrava molto convinto, forse era stato il velo di
sarcasmo nella mia voce o il tremore nella parola “bene”. Magari
la faccia che sembrava quella di un bambino in procinto di vomitare
appena sceso dalle montagne russe, mista a quella di un cammello in
sovrappeso.
Sospirai.
«Senti, Claudio.»
«Samuele.»
«…Samuele,
giusto. C’ero quasi. Comunque… la cosa importante è che io e te
vogliamo che Joey sia felice, e per essere felice e cantare come un
usignolo su quel palco ho bisogno di Dante. Quindi dobbiamo
trovarlo.»
«Dobbiamo?»
Samuele era scettico.
«Devo,
ma tu sei l’unico che può aiutarmi.»
«Non
so se sia giusto darti il numero di un’altra persona, soprattutto
se so che lui ti odia.»
Emisi
un gemito frustrato. «Ma non mi odia, scherza!» L’altro
assottigliò gli occhi e incrociò le braccia al petto. Un altro
gemito, al pari di un moccioso che sta cercando di convincere il
paparino a farlo andare sull’ottovolante. Sempre lo stesso bimbo
che ci ha vomitato prima, ovviamente. «Chiamalo tu, fai come vuoi ma
ho bisogno di parlargli!»
«Perché
dovrei sbattermi per te? Dante dice che sei uno stronzo e che cerchi
sempre di dividerli perché sei geloso.»
«Cosa?
Ma Dante è una testa di ca…» Ingoiai l’insulto e feci un bel
respiro. Mi stava passando la voglia di aiutarli, ma pensai a Joey e
al suo sguardo sconfitto. Dovevo proprio
beccare il suo amicone? «Senti,
Salvatore…»
«Samuele.»
«Samuele,
caro Samuele. Forse mi sono comportato male con Dante, lo ammetto, e
forse l’ho valutato un po’ troppo presto. È un bravo ragazzo,
rende Joey felice e ci tiene, quindi… per favore. Ho solo bisogno
di parlargli, perché non posso lasciare che uno dei miei migliori
amici passi un San Valentino peggiore di quelli che passo io di
solito. L’anno scorso era distrutto, quest’anno sarà diverso.
Deve essere diverso. Ti prego.»
Samuele
mi fissava con aria sospettosa, in silenzio, e io fui quasi sul punto
di tentare il tutto per tutto, non so, rubargli il cellulare, rapire
lui, gridare “al ladro!” e dar di matto. Ero disposto a tutto.
Ma, per grazia divina, non ce ne fu bisogno.
«Okay,
può andare, ti ascolto.»
La
voce che aveva parlato non era di Samuele e, per la prima volta, non
fu nemmeno tanto fastidiosa quanto lo era normalmente. Anzi, vi dirò,
se non fossi stato sicuro che avrebbe chiamato l’ospedale, sezione
psichiatria intensiva, gli sarei saltato al collo e l’avrei baciato
per la felicità .
Dante
se ne stava lì, appoggiato al muro dietro di noi, con un sorrisetto
compiaciuto sulle labbra e le braccia incrociate, soliti vestiti
trasandati che gli donavano un aspetto affascinante e i capelli più
lunghi di quanto non fossero stati un anno prima, quando era tornato
a Firenze.
«Sia
lodato Gesù Cristo.» Ignorai totalmente il povero Simone –
Samuele,
giusto – e mi avvicinai a Dante, mentre lui faceva un cenno verso
l’amico e sentivo una porta sbattere dietro di noi. Uh, forse
l’avevo irritato. Beh, non importava.
«Aspetta
a dirlo, prima fammi capire cosa vuoi.»
Io
ero un po’ nervoso, non mi ero mai trovato nelle condizioni di
dover supplicare proprio Dante, di trattarlo bene.
«Non è quello che vogliamo tutti? La felicità di Joey. Cioè tu.»
«Non
sei il mio tipo,» rispose, acido.
«E
tu non sei il mio, nemmeno se fossi l’ultima persona sulla faccia
della terra, ma ho bisogno di te. Qualsiasi cosa sia successa ieri
sera, dovete mettere a posto le cose.»
Dante
alzò gli occhi al cielo e si staccò dal muro. «Senti, sono
a posto, non devi preoccuparti. Io e Joey sappiamo sbrigarcela da
soli.»
«Dante,
lo so che per te sono uno stronzo e l’ultima persona che vorresti
incontrare, ma sono io quello che era con Joey stamattina e credimi
se mi sembra lecito che…»
«Okay,
okay, taglia.» Dante alzò gli occhi al cielo e si guardò intorno,
poi mi guidò verso alcune stradine interne. Sospettavo volesse
arrivare da qualche parte, ma dato il suo senso d’orientamento
avremmo semplicemente continuato a camminare. «Cosa ti ha detto
lui?»
«Mi
ha fatto intendere che c’è rimasto male per il fatto che lavori
stasera.»
Le
labbra di Dante si piegarono in una smorfia lieve, ma lui annuì.
«Già . Solo questo?»
«Questo
è l’importante, credo che la colazione scaramantica fosse solo una
scusa.»
Dante
gemette appena. «Quella stupida banana.»
«Non
farci caso, una volta io ho osato buttare la pizza che aveva lasciato
al caldo il giorno prima. Credo non mi abbia parlato per una
settimana perché, secondo lui, era colpa mia se aveva stonato al
locale quella sera.»
Dante
abbozzò una risata. Wow. Iniziava a diventare una situazione
decisamente strana se riuscivo a farlo ridere. «Quindi, era ancora
giù?»
Io
lo guardai scettico. «Se credi che gli passi soltanto perché siete
stati separati per qualche ora, ti sbagli.» Poi lo analizzai per
qualche secondo e aggiunsi: «E lo sai.»
«Sì,
lo so.» Dante si passò una mano tra i capelli. «Non so come
prenderla. Non posso rimediare perché devo davvero
lavorare stasera, quindi speravo… non
lo so, che gli passasse e basta. Portarlo a cena da qualche parte una
di queste sere, magari, qualcosa di carino per lui. Stasera non posso
proprio.»
Feci
una smorfia. «A lui importa che sia stasera. L’anno scorso ci
siamo ubriacati e continuava a ripetere che gli mancavi e che la vita
faceva schifo, che San Valentino era una festa del cazzo.» Dante
strinse gli occhi. «Il che è vero, ma di solito gli piace. Sai
com’è fatto, gli piace fare regali, trova sempre una scusa per
farlo.»
«Sì.»
Oh Dio, il sorriso che fece fu una cosa stucchevole e dolcissima, che
fece fare “awww!”
al mio coniglietto interiore. Non chiedete, non vi parlerò del
tenero coniglietto che vive nel mio petto. «Non so proprio cosa
farci, però. Abbiamo la serata a tema anche al bar, vogliono che
resti. Di solito per mezzanotte chiudono, ma si aspettano che pulisca
e lavi i piatti perché non possono permettersi una mano in più. Per
la mole di gente che si prospetta esserci, uscirei per un’ora
indecente e arriverei al Palo a spettacolo finito.»
«Mh.»
Ci pensai su. Quindi il problema era finire tutto il lavoro in tempo.
C’era
il diavoletto sulla mia spalla che urlava: “Girati
e vattene, presto! Non permettere ai tuoi stupidi neuroni di
formulare una di quelle idee terribili che ci portano al collasso!
Masochista!”; e l’angioletto –
che era praticamente un Nick Bateman in versione più sexy del
normale – che sussurrava, suadente: “Ma
no, Alex, non puoi andartene, hai l’occasione di fare una cosa
bellissima per il tuo miglior amico! Non c’è niente di meglio che
fare cose belle e dolci, a parte ricevere un pompino da me. E potrei
farlo, nei tuoi sogni, se tu aiutassi il povero Dante!”.
E
nulla, credo che alla parola “pompino” sia andato in banana anche
il diavoletto sull’altra spalla, perché indovinate un po’ a chi
decisi di dare ascolto?
***
Finimmo
di lavorare a mezzanotte e trentaquattro. Dante aveva ragione: da
solo non ce l’avrebbe mai fatta se non alle due passate, e per
arrivare al Palo da quel locale assurdo ci voleva almeno un’ora,
soprattutto per uno come Dante che non aveva un mezzo di trasporto e
non aveva nemmeno un senso d’orientamento.
Io,
invece, ero automunito, così ci ficcammo in macchina appena potemmo
e io guidai per le strade terribili di Firenze, litigando con un
traffico che non avrei voluto trovare a quell’ora di notte come se
ne fosse andata della mia stessa vita. Che un po’ era così, visto
che per aiutare Dante mi ero perso l’inizio della serata e
sicuramente Joey era incazzato nero.
Durante
il pomeriggio avevo trascinato Alex da Tiger e in tutti quegli altri
negozietti del centro che vendevano stronzate per San Valentino.
Avevamo organizzato un regalo con i fiocchi da dare a Joey fatto di
cioccolatini e peluche, visto che a lui piacevano tanto. Eravamo
passati anche a prendere una tisana speciale con vaniglia, cioccolato
e noci che al mio amico sarebbe piaciuta di sicuro.
E
okay, lo ammetto, tanto lo state aspettando tutti. Dante non era così
male come credevo che fosse. Ci eravamo ritrovati a parlare di tante
cose: di Joey, di musica, di letteratura e persino ingegneria. Era la
prima volta che parlavo di matematica con qualcuno e mi
divertivo. Insomma, saremmo persino
andati d’accordo, come amici.
Poi
l’avevo accompagnato a lavoro e avevo quasi supplicato il suo
datore di lavoro di farmi rimanere lì a lavorare gratis
per la serata. Dico quasi
perché oggigiorno chi si fa scappare l’occasione di avere un paio
di mani in più gratis? Non ebbi troppi problemi, in pratica, e mi
guadagnai anche qualche mancia.
«Okay,
un quarto all’una. Aveva esibizioni fino alle due, vero?»
«Sì,»
rispose Dante. Si stava passando una salvietta umida sul viso mentre
si guardava allo specchietto, così da darsi una sistemata. Prima di
uscire si era cambiato almeno la camicia che usava per lavorare, e
adesso era tornato al suo solito aspetto trasandato, maglietta e
felpa. Sembrava nervoso. «Facciamo in tempo?»
«Sì,
dovremmo farcela per l’una.» Se l’auto reggeva, perché era la
vecchia Panda dei miei e non era inusuale vederla fermarsi in mezzo
alla strada. Solitamente avvertiva prima, ma poteva farcela.
Confido
in te, Pandina!
La
Panda sembrò rispondermi con un rombo singhiozzato, che pareva il
suo tentativo di dirmi “Sì, andiamo!”
oppure “No, col cavolo!”
o ancora “Quando si mangia?”.
Poteva essere varie cose, visto che anche la spia della benzina
sembrava luccicare in modo strano.
Poi,
dopo qualche altro minuto di quiete, fece questo strano rumore che
ricordava quello che faceva poco prima di spegnersi, e che mi
costrinsi a ignorare. C’eravamo quasi, mancava il ponte e qualche
svolta, poi il parcheggio.
E
Pandina rallentò. «No stronza, no!» E Pandina si fermò.
«Che
succede?»
«Fa
la stronza!» Diedi gas, girai ancora la chiave. Niente, a parte il
terribile lamento di Pandina che urlava di dolore. «Dai, dai, dai…»
«Hai
finito la benzina?»
«L’ho
messa stamattina, è che ogni tanto fa questa cosa, come se non la
vedesse, non lo so. È vecchia, non ci ho mai capito niente…» Di
nuovo provai a riaccenderla, ma non si mosse. «Dai…» Qualcuno
dietro di me suonò, poi mi sorpassò.
«Forse
conviene spostarla lì a lato.»
«No,
può farcela.» Ancora girai la chiave, ancora si lamentò. Litigai
così per altre tre volte, prima che Dante decidesse di scendere
dalla macchina.
«Gira
il volante, la spostiamo lì a lato.»
«Dante
non…» Ma Dante non mi ascoltò nemmeno e si mise dietro la
macchina per iniziare a spingere. Io non mi ero mai sentito tanto in
colpa in vita mia.
Riuscimmo
a spostarla via dalla strada, poi io scesi e aprii il cofano per
capire cosa fosse successo. Non che ci capissi molto, ricordavo a
stento le lezioni e c’era una confusione di ingegneria e macchine
nella mia testa che avrei preferito gettarmi nell’Arno radioattivo.
«Non
c’è qualcuno che possiamo chiamare?»
«A
quest’ora?» Scossi il capo, poi sospirai e lo guardai. Pensavo che
mi sarei trovato davanti una smorfia di fastidio, magari quegli occhi
sarcastici pronti al “te l’avevo detto” e ad altri insulti, ma
Dante si stava dimostrando paziente e inaspettatamente gentile. Oh,
quanto odiavo dovermi ricredere su qualcuno. «Dante, ti conviene
andare. A piedi ci vorranno dieci minuti, arriveresti in tempo almeno
per il finale.»
«Non
posso lasciarti qui da solo.» Ed era serio, davvero non voleva farmi
un torto simile. Quella mattina ci odiavamo, adesso non voleva
lasciarmi solo a compatire la povera Pandina che cercava conforto tra
le braccia della morte.
«Sì
che puoi, il tuo ragazzo ti sta aspettando e non vede l’ora di
cantarti la sua canzone per poi scopare nei bagni del locale, nei
vicoli, sul pianerottolo di casa vostra, in salotto e poi tre volte
in camera da letto.»
Dante
ridacchiò. «Non sa nemmeno che vado.»
«Eh,
si chiamano sorprese.
Sbrigati.» L’altro mi rivolse un ultimo sguardo indeciso e triste.
«Dai, prima che mi ricreda e pensi che tu sia una brava persona!»
Riuscii a strappargli un sorriso.
«Grazie.
Di… di tutto.» Sembrava imbarazzato mentre prendeva la busta con i
regali in macchina e si fermava davanti a me, indeciso su cosa fare.
Cosa voleva, un abbraccio? Oddio, era davvero troppo per una notte.
«Forza.
Poi mi raccontate com’è andata.»
«Ti
chiam… Oh. Non ho ancora il tuo numero.»
Mi
strinsi nelle spalle. «Chiederò a Daniele.»
«Samuele.»
«Samuele,
sì.»
Dante
rise, poi mi diede una pacca sulla spalla e, per fortuna, si fermò a
quella. Si girò e si avviò costeggiando il Lungarno, poi tornò
indietro quando lo chiamai per indicargli la strada giusta per
arrivare al locale. Rimasi a guardarlo mentre si affrettava lungo il
ponte e spariva nel buio della notte.
“Bravo,
hai fatto una buona azione!” diceva
Angel-Bateman sulla mia spalla. Forzai un sorriso e mi sedetti sul
marciapiede. Sì, avevo fatto una buona azione ma ero ancora a piedi,
con la Pandina bloccata e senza sapere cosa fare. Sospirai e mi presi
la testa tra le mani.
Forse
avrei dovuto chiamare Zoe o Boris. Magari avrei potuto lasciare la
macchina lì e tornare a casa, per riprenderla il giorno dopo. Sì,
era proprio il caso di farlo. Non che avessi altra scelta, stupida
Pandina traditrice.
«Uhm…
Tutto bene?»
Quando
alzai lo sguardo, un ragazzo mi stava guardando, accanto a me. Un
gran bel ragazzo,
tanto che pensai che fosse troppo cliché e irreale per essere vero.
Forse stavo iniziando ad avere allucinazioni, forse era il mio
Angel-Bateman che si materializzava per farmi un pompino. Il che
significava che mi ero addormentato sul marciapiede, oppure ero
svenuto, o ancora ero morto. Non che mi lamentassi, se il paradiso
aveva quel volto e quegli occhi.
«Ah…
Sì è… si è fermata Pandina.» Visto che l’altro sollevò le
sopracciglia e abbozzò un sorriso divertito, mi costrinsi ad
aggiungere: «La macchina. Si è fermata la macchina.» Forse
arrossii un po’, perché avevo le guance calde. Eppure faceva anche
freddino.
«Ho
notato. Ti serve una mano?»
Sì.
Sì, sì, sì, dammi una mano, dammi la bocca, dammi tutto quello che
vuoi. «Ahmn… Sì, forse sì.» Notai
che si appoggiava a un motorino, che doveva essere il suo perché
estrasse le chiavi dalla serratura e se le mise in tasca mentre mi
porgeva una mano per farmi alzare. Io la accettai e mi tirai su. Era
calda. Era virile. Era perfetta.
«Avevo
una macchina simile qualche anno fa, poi mi ha abbandonato.» Spiegò
il ragazzo. Alto circa quanto me, un bel portamento, un bel culo. Non
che gliel’abbia guardato, figuriamoci. Per chi mi avete preso?
«Ahh
sì? Eh.» Io sembravo incapace di dire qualcosa di sensato. «Eh,
credo lo stia facendo anche lei.»
«Ci
sono un paio di trucchi per farla ripartire.» Bel Culo mi fece
l’occhiolino, poi si chinò sul motore. «O, se proprio ci ha
abbandonati, al massimo puoi lasciarla qui e tornare a casa.»
«Sì,
ci stavo pensando.» Lo osservai maneggiare per un po’ con il
motore e gli aggeggi, poi entrò in macchina e provò ad accenderla.
Quella sembrò rispondere per qualche secondo, prima di spegnersi
miseramente. Il gemito era diventato un lamento stanco, un rantolo
che suonava come “amen”.
Bateman n.2 uscì da lì e mi rivolse uno sguardo, in difficoltà .
«Mi
sa che ti conviene tornare domani con un meccanico. O con il carro
attrezzi per la rottamazione.»
Sospirai.
«Buon San Valentino, Alessandro.»
Un
angolo delle sue labbra si alzò. «Mi dispiace. Immagino che ti sia
andata come a me.»
«Se
hai passato la giornata ad aiutare i tuoi amici a rimettersi insieme
invece di pensare a trovarti un ragazzo con cui passare un pomeriggio
decente, allora sì.» Poi credo che arrossii, perché il fattore
“ciao, sono gay, prendimi” mi era proprio sfuggito dalle labbra.
Lui sembrò sorprendersi per un attimo, ma poi il suo sorriso si fece
anche più caldo.
«Non
proprio, ma non è stata una gran giornata.» Poi mi porse una mano.
«Nicola.»
Io
la strinsi forse con più enfasi del necessario. «Alessandro.»
«Se
ti va, c’è una gelateria ancora aperta qui vicino. Possiamo
prendere un gelato insieme e concludere la serata con una
chiacchierata piacevole, se non altro.» I suoi occhi brillarono per
un secondo e io pensai che, sì, dovevo essere decisamente morto,
perché una tale fortuna non l’avevo mai avuta nemmeno quando ero
piccolo e Babbo Natale mi portava proprio quello che avevo chiesto.
Non era Natale, ma quello era decisamente il regalo che desideravo.
«Sei
reale?» mi sfuggì. La mia mano era ancora stretta nella sua, che
era caldissima.
Nicola
si mise a ridere e annuì. «Sono reale. Lo prendo come un sì?»
«Buon
San Valentino, Alessandro,» sussurrai. Lui rise ancora, le fossette
ai lati della sua bocca erano adorabili. Anche la sua bocca era
adorabile. Era tutto adorabile.
«Buon
San Valentino, Nicola,» rispose lui.
E
forse, per una volta, era davvero un buon San Valentino.
FINE
Per saperne di più su Alessandro, Joey, Dante e Boris basta leggere "Hurt", romanzo di esordio di Grazia Di Salvo, edito da Triskell Edizioni.
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È possibile seguire Grazia Di Salvo su:
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Twitter @GraziaDiSalvo4
Biografia
Grazia Di Salvo è nata un paio di decenni fa in terre che si narra non esistano, e sta lavorando alla realizzazione del suo sogno di vivere tra la Scozia e il Texas con un branco di cani, gatti e furetti. Ha iniziato a scrivere da piccolina, quando riempiva quaderni e quaderni delle originalissime avventure della bimbetta animalista in fuga dai suoi orribili zii per frequentare una prestigiosa scuola di maghi e streghe in Inghilterra. Incredibilmente non ha avuto troppo successo. Ha studiato tecnica manga e si è specializzata in narrazione, che racchiude un po’ entrambe le sue grandi passioni: scrivere e disegnare. Ama la calma, il tè verde giapponese e il fuoco. È Ariete, Volpe, Gallo e Corniolo di nascita, e ha un’insana fissazione per i segni zodiacali che non ha mai voluto ammettere. È affascinata dalla psicologia e adora ascoltare la voce dei poveri martiri nella sua testa che le parlano delle loro emozioni. Ogni tanto, quando si affeziona a loro, decide che non può lasciarli lì, allora mette tutto su carta e spera che un giorno qualcuno possa amarli almeno quanto lei
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