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L'arte di tradurre — Intervista a Claudia Milani

Oggi abbiamo il piacere di ospitare Claudia Milani, una traduttrice eccezionale e molto apprezzata, che collabora attivamente con Dreamspinner Press e Triskell Edizioni e che si è occupata della traduzione di libri intensi e indimenticabili.

Grazie mille, Claudia, per aver accettato gentilmente di rispondere alle nostre domande. È un grande piacere averti sul nostro blog!

Quando ti sei avvicinata alla traduzione e, nello specifico, alla traduzione letteraria? 
Credo di aver preso coscienza del mio amore per la traduzione ai tempi dell'università. Seguivo un bellissimo corso di lingua inglese proprio incentrato sulla traduzione letteraria. Ricordo che il prof. ci aveva fatto analizzare l'incipit di "The French Lieutenant's Woman" (che tra l'altro era già allora uno dei miei libri preferiti) ed è scoccata la scintilla. Anche se l'incendio è divampato con un altro corso (Le isole nella letteratura inglese) durante il quale abbiamo letto e tradotto parti di "The Tempest". Purtroppo, quando mi sono laureata io, nell'ormai lontano 1997, non c'erano ancora le possibilità di adesso: il telelavoro era una realtà quasi sconosciuta e io non potevo permettermi master o corsi in un'altra città, così ho abbandonato l'idea della traduzione e ho cercato altro, il famoso lavoro pagabollette. Con il passare degli anni è rimasto però vivo l'amore per la lettura, tanto che quando ho avuto la possibilità di avere internet a casa mi sono iscritta a diversi forum. In uno in particolare ero piuttosto attiva e ho conosciuto tante persone. Una di queste, sapendo quanto amassi la traduzione, mi ha fatto presente un annuncio di Dreamspinner Press, che era alla ricerca di traduttori. Mi sono detta “Perché non provarci?”. Ho scritto, senza mandare CV perché in effetti non avevo nessuna esperienza relativa al campo, se non quella teorica, e loro mi hanno mandato una prova di traduzione. L’ho superata ed è così che è iniziata la mia avventura. Sono passati cinque anni da allora, più di trenta libri all’attivo e un bagaglio di esperienza che cresce ogni giorno. 

Entriamo subito nel vivo della questione con la più classica delle domande: tradurre uguale tradire? 
Credo che qualsiasi tentativo di trasformare il pensiero in parole equivalga a un tradimento, in un certo senso. Quante volte capita, nella vita reale, di sentire la necessità di comunicare qualcosa e non riuscirci come vorremmo? Nel caso della traduzione è ovvio che, essendo il pensiero filtrato due o più volte, il tradimento è più importante. Si diceva una volta ‘carta canta’, intendendo che quello che è scritto è immutabile, non più trattabile, eppure vediamo tutti i giorni quanto anche i lettori interpretino ciò che leggono. E non è solo una questione di sensibilità o gusto individuale. È capitato a tutti, prima o poi, di ritrovarsi a discutere sul significato di una frase, di un’espressione. E non solo per quanto riguarda i libri tradotti, ma spesso anche in lingua originale. Ovviamente, quando si tratta di tradurre, l’interpretazione è tutto. Sono innumerevoli i casi in cui lo stesso brano affidato a traduttori diversi viene reso in modi diversi e non è necessariamente detto che tra questi ce ne sia uno giusto mentre tutti gli altri presentano dei difetti, anzi. Il tradimento, l’unico, è quando si cambia il tono di un libro o il messaggio che l’autore voleva trasmettere. Mi capita spesso di leggere commenti di persone (spesso anche traduttori, ahimè) che affermano di leggere solo in lingua perché riescono ad assaporare meglio l’autore. Personalmente lo trovo un ragionamento un po' tendenzioso. Se la traduzione è fatta bene (questo è, ovviamente, un presupposto fondamentale) il sapore rimane, magari filtrato, ma rimane. 
C'è poi un livello più profondo di tradimento che è strettamente linguistico. Se traducessimo letteralmente, i libri sarebbero strapieni di nomi propri e ripetizioni. E sai che ridere poi con i lettori! Ogni lingua, oltre ad avere una propria grammatica, ha un proprio stile di scrittura, ed è inevitabile che il traduttore debba adattarsi e mediare. 

Quanto e come si deve conoscere, secondo te, la lingua che si traduce? 
La lingua da cui si traduce va conosciuta bene, il che non significa essere un dizionario ambulante, ma si deve essere in grado di distinguere, per esempio, una metafora da un idioma. Ancora meglio, però, va conosciuta la lingua verso cui si traduce. Dicevo prima che il linguaggio è fatto di sfumature, sia quello di partenza che quello di arrivo. Puoi capire tutto della lingua di partenza, ma se non sei capace di renderlo in quella di arrivo, è tutta conoscenza sprecata. Uno dei problemi principali che deve affrontare un traduttore è quello dei calchi, cioè la resa esatta di un'espressione della lingua di partenza che, però, in quella di arrivo risulta rigida, innaturale. Capita a tutti. Capita spesso. E ci vuole un orecchio davvero raffinato per cogliere certe sfumature. Questo è il motivo per cui un traduttore deve sempre essere affiancato da un bravo editor. Il ruolo dell'editor è fondamentale, anche se spesso ti crolla il mondo addosso quando vedi rientrare quel file tutto rosa... Quando traduci ti immergi completamente nel testo e capita di perdere di vista la visione globale, dall'alto. L'editor ha il compito di riportare la scrittura con i piedi per terra, in un certo senso. 

Quali sono le doti di un buon traduttore letterario? E in cosa consiste secondo te l'arte del tradurre? 
Quando ho cominciato io l'università, esisteva il corso di Lingue e letterature straniere moderne, adesso si chiama Mediazione culturale. Ecco, il traduttore letterario fa questo: media tra due culture, quella di partenza e quella di arrivo. Per i paesi occidentali, con una cultura più simile alla nostra, si cerca in genere di evitare i glossari e le moltissime note che invece sono indispensabili nelle traduzioni da lingue orientali. Mediare è difficile, soprattutto quando si traducono romanzi contemporanei. Quanto della nostra vita di tutti i giorni è legato alla nostra cultura? Dal linguaggio gergale, alle abitudini, al cibo, ai personaggi famosi. Prova a immaginare uno young adult ambientato in Italia in cui si dice che un personaggio fa la 'dab' e prova a pensare di doverlo tradurre in inglese. Oltre al gesto, quante implicazioni socioculturali ci sono in quel movimento? Ecco, il traduttore che ipoteticamente si trovasse a dover rendere quel 'fare la dab' dovrebbe conoscere non solo la lingua (riallacciandosi al discorso di prima) ma anche e soprattutto la cultura del nostro paese. Stessa cosa vale quando si traduce da una lingua straniera verso l'italiano. Ovviamente ci sono libri più neutri e libri in cui tutto, ma davvero tutto, è un riferimento culturale. 
Oltre a questo, il traduttore deve essere un po' un tuttologo. Deve sapersi muovere dalla medicina perché il protagonista è medico o affetto da una malattia, alla meccanica perché è meccanico, alla coltivazione dei cavoli perché è contadino. E in genere non abbiamo il tempo che magari ha uno scrittore per documentarci; le scadenze sono sempre dietro l'angolo e non è possibile dilungarsi nelle ricerche. 
La seconda parte della domanda, in cosa consiste l'arte del tradurre, è davvero complicata e fior di linguisti e persino filosofi hanno provato a dare una spiegazione.

3 aggettivi per descrivere Claudia Milani traduttrice... 
Insicura. Pignola. Affannata. :)

Tra i tanti libri che hai tradotto compaiono la serie "Consorzio di Gentiluomini" di K.J. Charles, "L'autunno nel cuore" di Alex Kidwell, "L'arte di respirare" e "Dimmi che è vero" di T.J. Klune, "Ethan che amava Carter" di Ryan Loveless, la serie "Lang Downs" di Ariel Tachna, la serie "Santuario" di R.J. Scott e "Fedeltà e fiducia" di Tere Michaels. Vuoi raccontarci la tua esperienza? 
Credo che ognuno di questi libri si sia portato via un pezzo del mio cuore. Paradossalmente quelli che più ho amato sono però quelli che sono andati peggio a livello di vendite. Non mi spiegherò mai questa cosa. Evidentemente i miei gusti personali non collimano con quelli della maggior parte dei lettori. 

"Ethan che amava Carter" è stata una sfida. Mi ero già confrontata con la questione di un personaggio balbuziente in "Ereditare in Cielo", quindi avevo già "studiato" come rendere questo particolare problema di linguaggio in italiano, quali sono le consonanti su cui ci si inceppa e quali invece scorrono via con più facilità; ma l'aspetto più difficile è stato rendere il linguaggio di Ethan. Il rischio era quello di farlo diventare una macchietta e farlo parlare un po' come Sbirulino (a proposito di riferimenti culturali), quando invece era necessario usare parole semplici per esprimere concetti difficili. La riflessione che fa all'inizio del libro, quando vede per la prima volta Carter, credo sia molto indicativa del suo modo di esprimersi e pensare. Non è stato facile entrare nella testa di chi ha subito un tale trauma e trovare la chiave per farlo parlare senza renderlo ridicolo.

"Nella casa accanto c’era un nuovo vicino. Ethan aveva osservato gli operai scaricare scatoloni per tutto il giorno. Alla fine erano andati via ed erano rimasti solo un uomo e una donna. Erano entrambi bassi come Elliot, ma lui non era ancora cresciuto del tutto, mentre quelle persone sì. La donna era andata via e non era tornata, quindi Ethan aveva immaginato che l’uomo avrebbe abitato nella casa da solo. Lo aveva visto nel cortile sul retro prendere degli attrezzi lasciati dai vecchi proprietari. Poi l’aveva osservato togliersi la maglietta perché faceva caldo, e quello aveva fatto sentire caldo anche alle sue parti intime, così Ethan si era toccato per farle stare meglio. Era in camera, quindi andava bene. Gli era permesso toccarsi il pene in camera e in bagno, ma in qualsiasi altro posto era vietato. Lo aveva ordinato mamma. Aveva fatto uscire quella roba bianca. Il seme. Se lo ricordava da Prima. Alcune parole le aveva perse, ma non quella."

"Dimmi che è vero" è follia. Follia allo stato puro. I viaggi mentali di Paul sono esilaranti e altrettanto stancanti. La marea – marea letteralmente – di doppi sensi dà il capogiro. I giochi di parole, le rime, i nomi. Ogni cosa ha un doppio e alcune volte triplo senso, e tutto è legato a tutto. Senza contare che, all'epoca della traduzione, non era previsto un seguito, quindi alcune delle scelte fatte allora mi si stanno ritorcendo contro adesso. Tradurre TJ è divertente quanto sfiancante. Un libro del genere da una parte ti concede una grande libertà perché è impossibile restare fedelissimi all'originale se vuoi che il lettore capisca qualcosa, dall'altra ti mette davvero alla prova perché è una trovata dietro l'altra. Homo Jock King, riprendendo l'esempio che avevo portato al MM Meeting del 2016. Ci sono tre considerazioni da fare su questo soprannome che rendono la sua traduzione indispensabile all'economia del libro. Homo ovviamente perché è omosessuale. Il Jock è lo sportivo 'tutto muscoli e niente cervello' che porta con sé una connotazione negativa. King perché Darren è il capo indiscusso della sua gang di giovani manzi universitari. Non ricordo quale delirio notturno mi ha fatto partorire Sua Frociosità Pompato I, ma a mio (im)modesto parere resta un'ottima resa. Se non fosse per il fatto che a) Homo Jock King è entrato nel titolo del secondo libro b) sempre nel secondo libro ci sono milioni di riferimenti agli Homo jock di cui Darren è il re. Il problema quindi è riuscire a sfruttare Sua Frociosità Pompato I non solo come soprannome, ma anche come re degli Homo Jock (E sì, ho trovato la soluzione, se ve lo state chiedendo, ma per sapere qual è dovrete aspettare l'uscita del libro). Un’altra trovata di cui vado particolarmente fiera e che sembra aver riscosso un notevole successo è “Ocio ocio arriva il frocio”, pronunciata da quella macchietta di pappagallo che è Johnny Depp. L’originale era ‘Pray the gay away’. In questo caso, visto l’atteggiamento omofobico che il pappagallo ha nei confronti di Paul, ho preferito puntare sul mantenimento della rima che sul significato (l’espressione letteralmente significa che si può smettere di essere gay con la forza della preghiera). 

L’autunno nel cuore” l’ho conosciuto come lettrice prima che come traduttrice e me ne sono innamorata al punto di aver supplicato Dreamspinner prima e Triskell poi di assegnarmelo. È un libro splendido, di una dolcezza unica. Il dolore di Quinn è tangibile, quasi un personaggio a sé del libro e permea ogni suo pensiero, ogni suo gesto. C’è questa malinconia che scorre in tutte le pagine e ti dà la sensazione di guardare lo svolgersi delle vicende attraverso un velo. Non è un libro veloce, ma un libro che va gustato piano, lentamente, proprio come lenta è la risalita di Quinn. La preoccupazione principale una volta conclusa la traduzione era quella di non essere stata capace di rendere l’atmosfera. È un libro tutto basato sulle sensazioni, sugli stati d’animo, sugli sguardi. 

Stesso discorso per “Fedeltà e fiducia”. Fa parte di quel tipo di libri che leggi per il sentimento, ma ciò non vuol dire che siano sdolcinati, anzi. In entrambi c’è un lutto molto presente, ma se Quinn combatte contro il senso di colpa, Evan lotta contro se stesso e i suoi istinti. Non entrerò nello specifico del ‘gay for you’, non sta a me discuterne, però il libro è bello, pieno di passione e di tensione. La presenza dei figli rende il tutto più drammatico e il momento in cui Evan cede è una delle scene più belle che abbia mai letto. 

Con la trilogia “Consorzio di gentiluomini” sono davvero crollate tutte le mie certezze, al punto di arrivare a pensare che forse ‘porto sfiga’, perché proprio non so spiegarmi perché questi libri non siano stati apprezzati (indipendentemente dalle recensioni, quello che conta per un libro sono vendite, ahimè). Sono sempre stata appassionata di romanzi storici (al punto che una delle mie categorie su Anobii era ‘crinoline’) quindi ho fatto letteralmente i salti di gioia quando mi è stata offerta la trilogia. Devo ammettere che non ho riscontrato particolari difficoltà nella traduzione, salvo prestare un’attenzione spasmodica al linguaggio (ho consumato il dizionario etimologico). E spero davvero, ma proprio davvero che i lettori decidano di dare un'occasione a una bellissima serie. 

Quali difficoltà hai riscontrato nel tuo lavoro di traduzione? 
Onestamente, la difficoltà principale è il tempo. Oltre a tradurre ho un lavoro a tempo pieno e una famiglia. Mi piacerebbe vivere di sola traduzione, ma è ancora un sogno non realizzato e che forse neanche si realizzerà mai. A volte questa situazione mi fa sentire frustrata, soprattutto perché mi rendo conto della differenza di resa tra quando mi metto a lavorare dopo cena e quando posso invece farlo al mattino, con la mente fresca, ed è abissale. Qualche giorno fa, il mio editor ha detto che ho gli errori a grappoli, intendendo che si notano le parti tradotte in prima serata e quelle fatte verso o dopo la mezzanotte. 

Qual è invece la parte più divertente? 
Decisamente quando riesco a trovare una soluzione brillante per un problema. Recentemente (sono pazza e recidiva, sì) ho cominciato a collaborare in modo più stretto con Triskell, dividendomi con un'altra traduttrice storica della Ce il compito di 'supportare' i nuovi traduttori e aiutarli a risolvere dubbi o problemi per i quali sentono la necessità di chiedere aiuto.  Una collega mi ha scritto sottoponendomi alcune perplessità, ed è stato bello sfruttare l'esperienza per aiutarla. 
Altra cosa che mi piace tantissimo della traduzione è l'approfondimento che sei costretto a fare del libro su cui lavori. Mi è capitato diverse volte di parlare con gli autori, presentandolo loro domande o problemi, e sentirmi dire che non ci avevano pensato. Un traduttore, diversamente da un lettore, e anche da un editor, deve soffermarsi su ogni parola, ed è invitabile che alla fine del libro, conosca personaggi e situazioni come le proprie tasche.

Sei in contatto con gli autori che traduci? Puoi raccontarci qualche curiosità sul tuo rapporto collaborativo con loro? 
In verità evito di 'disturbarli' se proprio non è necessario. L'ho fatto con Tere Michaels per "Fedeltà e fiducia" perché proprio non sapevo spiegarmi una scena e devo dire che la sua risposta è stata alluminante, anche per il resto della traduzione. A volte basta poco per far andare tutti i pezzi del puzzle al loro posto. Ho scritto a Tj, per "Dimmi che è vero", perché nell'originale Sandy viene descritto prima con gli occhi castani e poi si dice che li ha azzurri, e quindi avevo bisogno di sapere come lo vedeva lui nella sua testa. Il fatto che sia molto timida mi porta sempre a mantenere un po' le distanze, anche devo ammettere che c'è stata un'eccezione: Eric Arvin. Con lui eravamo diventati amici facebokkiani e ci siamo scritti molto, almeno finché è stato in grado di farlo. Tra gli autori che ho conosciuto Eric era davvero il più eclettico e quello con una fantasia immensa, e la sua scomparsa è stata una perdita non solo per la letteratura LGBT, ma per la letteratura in generale, perché credo che alla fine avrebbe sfondato. Ecco, se posso dire di avere un rimpianto è quello che "Solo una bozza" è stata la mia primissima traduzione, con  tutti i difetti di chi è alle prime armi. Avrebbe forse meritato di più. 

A cosa stai lavorando attualmente? Quali sono i tuoi progetti lavorativi futuri? 
Al momento sto lavorando a Dimmi che è vero 2 (devo ancora decidere il titolo italiano, quindi lo identifico così) e al secondo volume di Captive Prince. Due libri agli antipodi, sia per stile che per argomento, e sono sicura che se non divento bipolare in questa occasione, sarò al sicuro per il resto della vita.
Progetti futuri ne avrei tanti e non solo come traduttrice. Mi piacerebbe provare a editare un romanzo italiano, mi piacerebbe fare seriamene scouting, avere il tempo d fare quality control e mentoring. Magari studiare un po' di marketing. 
Troppe cose e troppo poco tempo, ahimé. 



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Grazie ancora, Claudia, e grazie a tutti voi, amici del Blog! Continuate a seguirci perché le sorprese non sono finite! 

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