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Recensione: "Giovane, bello e morto" (Serie Kendall Parker Mystery #1) di Jon Michaelsen


Titolo: Giovane, bello e morto
Titolo originale: Pretty Boy Dead
Serie: Kendall Parker Mystery #1
Autore: Jon Michaelsen
Trad.: Claudia Milani
Editore: Triskell Edizioni 
Genere: Mystery fiction
Pagg.: 321 
Prezzo ebook: € 4,99 
Prezzo cartaceo: € 12,00 
Data di uscita: 6 agosto 2020
Link per l'acquisto: Triskell - Amazon - Kobo 

Sinossi 
Quando il corpo di un giovane uomo picchiato selvaggiamente viene ritrovato nel più importante parco di Atlanta, le associazioni lgbt fanno in fretta a considerarlo un crimine d’odio e a mettere pressione all’amministrazione cittadina e alla polizia affinché giustizia venga fatta. Ben presto, gli indizi sembrano condurre a un giovane tossicodipendente che vive una vita allo sbando, ma il sergente Kendall Parker della Squadra Omicidi di Atlanta non si lascia convincere.
Quando poi al caso si aggiungono una denuncia per scomparsa, un tentativo di ricatto e un giornalista ficcanaso, la situazione sembra precipitare e Parker si trova a dover scegliere tra perseguire a tutti i costi la giustizia o tradire l’uniforme a cui ha sacrificato la vita.
Ogni scelta, si sa, è difficile, ma in questo caso per Parker potrebbe anche voler dire dover rivelare il suo segreto più profondo. 

Recensione 
"Vivere è ancora la miglior cosa da fare, quaggiù." Persino dopo aver guardato negli occhi l'oscurità e la nitidezza del dolore. O dopo aver accettato le sfide della vita: quei momenti di dura brutalità in cui il sole può farsi sempre un po' più piccolo e con esso anche le cose, i luoghi e le persone. Jon Michaelsen, autore di "Giovane, bello e morto", propone una riflessione sugli effetti paralizzanti della paura, sul bisogno a volte incontrollabile di punirsi, di lasciarsi sopraffare dalla sofferenza e dai sensi di colpa e, non ultimo, dal desiderio di soffocare le emozioni. Ne è testimone Kendall Parker, la cui risposta al senso di vuoto e di spavento che sembra aver messo fine ai suoi sogni è la forza della redenzione.
Prima però di prendere in considerazione questo lato del racconto più intimo e introspettivo, facciamo un piccolo passo indietro e partiamo da dove tutto ha inizio. 

L'azione e l'intreccio del romanzo si sviluppano nella capitale della Georgia. La città ci appare avviata verso una polarizzazione politica lacerante, il cui cinismo risponde a logiche speculative ed economiche: il vero scopo da raggiungere è il potere — la conquista e la gestione del potere.
Dietro gli spazi verdi e i grattacieli che ne dominano lo skyline, Atlanta è un campo di battaglia. Se la sua storia è affascinante e dinamica, improntata alla modernità e al progressismo, la realtà sottostante rileva un disprezzo generale, una tracotanza priva di orizzonti e confini. A prevalere sono il calcolo opportunistico dei vantaggi e gli interessi dei singoli, che si muovono in un mondo senza regole dove è quasi impossibile orientarsi: i personaggi descritti da Michaelsen si dimostrano vulnerabili, corruttibili soltanto se lo ritengono necessario od opportuno e per lo più rivolti all'inganno, alla malvagità, alle menzogne e alla violenza. Lo scarto, dunque, attorno a cui ruotano i personalismi e il desiderio egocentrico di affermarsi e infine distinguersi si gioca tra le cose come stanno e le cose per come appaiono

In questo quadro generale complesso e poco favorevole alla sopravvivenza, la Divisione Investigazioni Criminali diretta dal tenente William L. Hornsby è nell'occhio del ciclone dopo il ritrovamento di un cadavere a Piedmont Park. Mentre le indagini affidate al Sergente Kendall Parker conducono sin da subito a un locale gay situato nei pressi del luogo del delitto e, con il passare del tempo, al Metroplex, — "sontuoso club di spogliarello integrale maschile e lounge bar" di proprietà di Anthony Galloti, "nipote di una delle più pericolose famiglie criminali di Chicago" — le associazioni LGBT della città chiedono a gran voce giustizia: che il crimine sia stato ispirato da omofobia e dall'odio anti-gay è ormai notizia acclarata. 

A questo punto della storia, e sto ancora parlando della parte introduttiva, i tropi narrativi del poliziesco più puro sembrano esserci tutti: un investigatore animato da una sincera sete di verità, indagini svolte con metodi scientifici accurati lungo le strade afose di Atlanta, istituzioni politiche pressate dalle diverse istanze e sensibilità che provengono dall'opinione pubblica, loschi affari finanziari, bar eleganti o squallidi, ballerini e prostitute dal fascino fatale. 
In verità, e sebbene il giallo segua per certi versi lo schema del whodunit, la trama è caratterizzata da alcuni elementi tipici del noir. Michaelsen instilla il dubbio, desta sospetti, dissemina indizi ambigui e soprattutto utilizza come punto di partenza il delitto di un bellissimo e giovane sconosciuto al fine di esplorare sia il degrado morale di una città in parte eterosessista — e che non fa nulla per nascondere l'intolleranza e l'odio nei confronti delle persone omosessuali — sia la psicologia dei personaggi. Non appena Parker dà il via alle indagini, a emergere sono dettagli preoccupanti, le cui ripercussioni possono risultare pericolose. Legami insospettabili, attività illecite e un macchinoso sistema politico-istituzionale dimostrano come, in una società interconnessa, il marcio sia ovunque, tanto più pervasivamente diffuso quanto più ignorato o inatteso. Anche il corpo di polizia non è immune da colpe: chiuso in un ostinato e rigoroso silenzio, svela il suo volto retrivo attenendosi a un codice comportamentale influenzato da stereotipi e pregiudizi contro le persone Lgbtq+. Ragion per cui, se consideriamo che sono trascorsi poco meno di due mesi da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha messo al bando la discriminazione sul lavoro, stabilendo che non si può essere licenziati per il proprio orientamento o per la propria identità sessuale, è evidente che "Giovane, bello e morto" ha in sé un alto grado di autenticità, pur preservando il confine — non sempre vago e impalpabile — che separa la finzione dalla verità. 

Appaiono altrettanto verosimili i personaggi che popolano l'universo di Kendall Parker. I frammenti della loro anima, che sia marcia o innocente o tormentata, danno vita a un microcosmo complesso in cui spiccano diverse declinazioni dell'umano. Con una prosa efficace e ricca di dettagli che Michaelsen fa piovere a cascata sul lettore, si imprimono nella memoria i poliziotti ruvidi e tutti d'un pezzo, convinti di cavarsela impunemente anche dopo aver abusato del potere che la divisa conferisce loro. Emergono vividamente il giovane ispettore desideroso di imparare e fare del bene e la prostituta in lotta per la difesa della propria incolumità che ci regala una delle pagine più belle del romanzo, in cui il tentativo di dare movimento all'azione e profondità a ogni sfumatura, pensiero o emozione è, senza ombra di dubbio, riuscitissimo. Colpisce fra tutti Calvin Slade, legato a doppio filo con Kendall Parker e cronista d'assalto, la cui ferrea ostinazione mi ha riportato alla mente il Dustin Hoffman di Tutti gli uomini del presidente. Ho apprezzato il suo coraggio, la volontà di rivelare verità scomode senza temere le prevedibili ritorsioni da parte del potente di turno e la tendenza a non mascherare il suo cinismo di fronte alla realtà, nuda e cruda. È uno dei miei personaggi preferiti, lo ammetto, forse perché mi ha ricordato qual è — davvero — la forza più difficile e complicata da gestire, cioè quella della parola.

Ciò che tiene unito questo gruppo disomogeneo di personaggi sono anzitutto le relazioni: non sempre piacevoli — a volte si presentano inquiete, logore o sgualcite — resistono a ogni ostacolo e asperità, anche quando il cielo non è propizio e tutti cercano di aggrapparsi all'irritabile evidenza del torto e della ragione. In secondo luogo, li accomuna la ricerca ossessiva e disperata di comprensione e orientamento, di un senso di integrità che sembra essersi smarrito dinanzi all'abisso delle loro contraddizioni. E tra tutti i personaggi più ambigui e contraddittori del romanzo credo ci sia proprio lui, Kendall Parker. 
Questo poliziotto trentacinquenne alto e massiccio, scrupoloso e attento, giusto e sempre ritto sulla  schiena, sa che non sta scrivendo la sua storia. Il caso del giovane e bellissimo sconosciuto trovato morto a Piedmont Park lo tocca nel profondo, prolunga il suo dolore — che gli toglie il respiro mentre arde lento e durevole — e infine lo costringe a combattere contro i suoi demoni (offrendo a noi lettori e alla risoluzione del mistero una nuova e più profonda prospettiva). Parker non può più accettare che siano sempre i deboli a pagare e i morti, ancora una volta, a morire e scomparire; e così, nel momento più penoso e straziante della sua intera esistenza, prende coscienza del fatto che vivere non è un gioco al rialzo di bugie e segreti — che lui è tanto abile a scoprire quanto a mantenere — perché nessun sentimento e nessuna emozione possono davvero spegnersi nel dimenticare. 

Questo primo capitolo della serie Kendall Parker Mystery non sarà forse un libro perfetto ma è di sicuro un ottimo esordio e un contributo notevole al genere mystery LGBTQ+, sopratutto perché pone l'accento sui risvolti sociali dell'omofobia e su come i pregiudizi condizionino la vita di chi li subisce acuendo nelle vittime rabbia, insicurezza e smarrimento. 
Dopo aver pubblicato il primo volume della serie Pinx Video Mystery di Marshall Thornton (qui) e nell'attesa di dare alle stampe la serie Henry Rios Mysteries di Michael Nava (qui), Triskell Edizioni punta di nuovo, grazie anche alla bella traduzione di Claudia Milani, su un autore finalista ai Lambda Literary Award capace di intrattenere, emozionare e appassionare e su di un personaggio intenso e misterioso che ha ancora tanto da raccontare — dalla complessità dei suoi chiaroscuri alla persistente tenerezza e umanità che — ci ero quasi cascata — finge di non possedere: 
Era probabile che la vittima facesse parte di una minoranza silenziosa, che fosse stata sacrificata solo perché aveva avuto l’ardire di voler esistere, che agli occhi della maggior parte della gente fosse un emarginato. Era inutile piangere sul latte versato.
Eppure non riusciva a non pensare a chi lo aveva conosciuto. A chi gli era stato vicino e che ora avrebbe sofferto immensamente per la sua scomparsa, magari interrogandosi in eterno sul motivo di quella violenza. Non avrebbero mai capito, mai perdonato, macerandosi nel dolore per tutti gli anni a venire. Conosceva bene quelle sensazioni, aveva provato sulla propria pelle il senso di colpa e il dubbio, la disperazione più nera. Aveva toccato con mano l’angoscia che accompagnava la perdita di una persona amata.

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